I piatti e le antiche tradizioni della cucina giudaico-romanesca

cucina giudaico romanesca

 

Vi avevamo già parlato dei cibi kosher e delle regole alimentari dell’ebraismo, ma non vi avevamo ancora raccontato del mondo della cucina giudaico-romanesca. A Roma, infatti, si trova la più antica comunità ebraica d’Europa, visto che la sua presenza in città risale al II secolo a.C. Questo ha fatto sì che nel corso dei secoli si formasse una tradizione culinaria varia e diversificata, data dalle particolari condizioni di vita nel ghetto. Oggi ve ne parliamo grazie alla nostra guida romana per eccellenza, il giovane chef Remo Fiscina, che ci ha dato anche le sue ricette di due piatti simbolo della cucina ebraico-romana. 

L’origine della comunità ebraica a Roma

La cucina giudaico-romanesca o ebraico-romana ha delle radici molto antiche, poiché antica è la presenza di una comunità ebraica a Roma. I primi rapporti tra Roma e l’ebraismo risalgono al 161 a.C., quando, secondo il Libro dei Maccabei, si presentarono al Senato Eupolemo figlio di Giovanni e Giasone figlio di Eleazaro. Con il tempo la loro presenza non ha fatto che crescere, soprattutto durante il Medioevo: “alla fine del Quattrocento la comunità ebraica di Roma si ingrandì con l’arrivo dei profughi dalla Spagna, dal Portogallo e dall’Italia meridionale. Questa fusione fu laboriosa, e venne regolata solo nel 1524 mediante i Capitoli di Daniel da Pisa, che ridisegnarono il governo della comunità così da includere romani e stranieri”, si legge nel testo I tesori del Museo Ebraico di Roma di Daniela di Castro (Araldo De Luca Editore). Nel 1555 Papa Paolo IV istituì un ghetto ebraico nella zona di Sant’Angelo in Pescheria, da cui gli ebrei non potevano uscire, tant’è che i portoni delle case venivano proprio chiusi durante tutta la notte. La ghettizzazione fu abolita solo nel 1870, e da questo momento in poi anche persone non di origine ebraica si trasferirono nell’ex ghetto. Ad oggi, infatti, la comunità è formata da circa 15.000 membri, di origini varie, che rendono questo quartiere uno dei più affascinanti che ci sia in città. 

Che cosa è rimasto oggi della cucina giudaico-romanesca?

Questa chiusura permise agli ebrei presenti nel ghetto di mantenere intatte alcune tradizioni, ma soprattutto di arrangiarsi spesso come potevano, con quello che avevano e trovavano in zona. Ma prima di parlarvi della cucina giudaico-romanesca, sarà bene fare una piccola ma importante premessa: la comunità ebraica è presente a Roma da talmente tanto tempo che ormai è praticamente impossibile stabilire un confine netto tra tradizione gastronomica giudaica e romana, poiché nel corso dei secoli si sono piacevolmente fuse e contaminate. Detto questo, possiamo individuare alcune preparazioni di cui è accertata l’origine ebraica.

Dal brodo di pesce ai carciofi alla giudia

pane shabbat
BigNazik/shutterstock.com

Uno dei simboli della cucina giudaico-romanesca è il pane del Shabbat, cioè del sabato, che si caratterizza per la forma a treccia e per essere estremamente morbido. Questo pane non manca quasi mai sulle tavole, ed è ottimo da abbinare praticamente a qualsiasi pietanza. Una materia prima molto presente è il pescato, poiché il ghetto ebraico si trova proprio vicino al mercato del pesce (basti pensare al nome del quartiere di riferimento Sant’ Angelo in Pescheria), quindi fin dal passato gli ebrei si rifornivano spesso lì. Ci sono tantissimi piatti di pesce variabili a seconda di quello che c’è, delle disponibilità e della stagionalità, ma ci sono poi anche alcuni evergreen come il baccalà in pastella, il polpettone di patate e tonno o gli aliciotti con l’indivia, una sorta di tortino al forno che si fa alternando due strati con questi ingredienti. Ma una delle preparazioni più emblematiche della storia del ghetto ebraico romano è il brodo di pesce, il piatto che forse più di tutti racconta un pezzo della loro storia. Veniva infatti preparato con gli scarti del pesce che le donne, durante i tempi più duri, trovavano al mercato, così come dai resti di altre cotture. Ancora oggi, lo trovate nei ristoranti di cucina giudaico-romanesca, ma solo quelli più fedeli alla tradizione, come ad esempio Nonna Betta, che propone anche altri piatti in una versione davvero autentica.  

Tra le carni, invece, ricordiamo lo stracotto di manzo, le coppiette di carne secca, le animelle con i ceci e in generale tutto il mondo del quinto quarto, tipico della tradizione ebraica. Ma anche tante verdure: dai fiori di zucca (di solito fritti) alla caponata di melanzane fino a una serie di primi piatti poveri a base di pasta o riso e patate o legumi, perfetti in tempi difficili in quanto saziavano dando il giusto apporto di carboidrati e proteine. E poi infine forse il piatto più famoso della cucina giudaico romanesca, il carciofo alla giudia, di cui il grande chef Remo Fiscina ci ha svelato la sua ricetta, insieme a quella della crostata di visciole. Il mondo dei dolci, infatti, è un’altra delle grandi ricchezze della cucina ebraico-romana. 

I dolci della tradizione 

tortolicchio ebraico
Boccione L’Antico Forno/facebook.com

La tradizione giudaico-romanesca è ricchissima di dolci, che vi consigliamo di provare in uno dei posti di riferimento nella zona del ghetto, la Pasticceria Boccione (dal romano boccia, cioè testa pelata): “dolci artigianali preparati davvero secondo la tradizione ebraica in un ambiente familiare d’altri tempi, senza nemmeno l’insegna!”, ci racconta Graziella, appassionata di cultura kosher. “In ogni caso sempre meglio prenotare, ma anche in questo caso non mancheranno lunghe file d’attesa”. Tra i dolci che trovate qui c’è la crostata di ricotta e marmellata di visciole (di cui Remo vi darà la ricetta), la pizza ebraica con uvette e canditi o quella di beridde con canditi, mandorle, pinoli e uva passa o altre sempre a base di frutta secca, una costante della pasticceria giudaico-romano, un po’ come in quella marocchina

Per le occasioni importanti, invece, c’è il tortolicchio, un biscotto a base di pasta di mandorle e miele, che si fa sempre in occasione delle feste, in particolare per il Purim, una delle ricorrenze più sentite. Come scrive Giorgia Calò sul portale Ugei (Unione Giovani Ebrei d’Italia, che vi consigliamo di seguire se siete interessati al tema), pare che il nome derivi da “tortore”, ossia bastone in romano, sia per la sua durezza che per il colore. “La sua origine risale a prima del Ghetto di Roma: una testimonianza del 1543, del Rav Isacco Lattes, racconta della storia d’amore clandestina tra una donna ebrea sposata e un bottegaio, che le aveva donato come pegno d’amore un tortolicchio, fortemente apprezzato dall’amata”. 

Due ricette giudaico-romane di Remo Fiscina

Dello chef Remo vi potete fidare: ve ne avevamo già parlato a proposito della pajata romana, che ci aveva preparato sia nella versione tradizionale che sperimentale. Per questo, anche in questo caso ci siamo affidati a lui. 

Carciofi alla giudia

Questa ricetta è pensata per una persona, cioè un carciofo a testa, anche se Remo ci racconta che uno non basta mai e vogliono sempre tutti il bis, almeno quando lo cucina lui! 

carciofo alla giudia
Foto di Remo Fiscina

Ingredienti

  • 1 carciofo
  • q.b. di olio evo 
  • q.b. di sale 
  • q.b. di limone 

Procedimento

  1. Pulite il carciofo dalle parti coriacee, poi strofinate il limone sopra per non farlo ossidare. 
  2. Ripiegate le foglie di carciofo su stesse, cominciando dall’esterno, come se doveste creare un fiore. 
  3. Una volta fatta questa operazione, scaldate in abbondante olio a 100 gradi e prefriggete il carciofo fino a che il gambo non risulti leggermente morbido. 
  4. A questo punto scolate il carciofo e fatelo raffreddare.
  5. Alzate la temperatura dell’olio dai 165 ai 170 gradi e immergete nuovamente il carciofo a testa in giù prendendolo dal gambo e pucciandolo più volte nell’olio.
  6. Fatelo friggere fino a che le foglie non risultino croccanti. 
  7. Asciugate il carciofo dall’olio, regolate di sale e gustatelo caldo: vi sembrerà di mangiare delle chips al carciofo!

Crostata di ricotta e visciole 

Se non avete la fortuna di provare questo dolce direttamente a Roma, in posti storici come la pasticceria Boccione, vi diamo la ricetta di Remo per prepararla con facilità anche a casa. 

crostata di ricotta e visciole
Foto di Remo Fiscina

Ingredienti 

Per la frolla

  • 250 g farina 00
  • 100 g zucchero 
  • 100 g burro
  • 1 uovo + 1 tuorlo
  • 1/2 limone grattugiato

Per il ripieno

  • 1 vasetto di marmellata di visciole
  • 500 g ricotta di pecora
  • 170 g zucchero
  • 1 uovo

Procedimento 

  1. Iniziate dalla frolla aiutandovi con una planetaria o a mano su una spianatoia di legno. Mischiate tutti gli ingredienti e lavorate l’impasto fino a che non diventa liscio; l’importante è che non si scaldi troppo. Poi fatelo riposare in frigo 15-20 minuti.
  2. In una ciotola setacciate la ricotta, poi aggiungete l’uovo e mescolate fino a ottenere un composto omogeneo. 
  3. Stendete la frolla a 2 dischi da circa 28 cm: adagiate il primo disco nello stampo imburrato e infarinato, poi bucatelo con una forchetta e spalmate la confettura di visciole sulla base, poi la ricotta lavorata e infine chiudete la crostata coperta con l’altro disco di frolla. 
  4. Nel forno preriscaldato a 180 gradi, cuocete la crostata per 20 minuti, poi abbassate la temperatura a 170 gradi e fatela cuocere per altri 30. “Non essendo tutti uguali i forni, teniamo d’occhio il nostro dolce” consiglia Remo.
  5. Una volta sfornata, fatela raffreddare a temperatura ambiente, tagliatela e gustatevela tutta!

Allora, quale specialità della cucina giudaico-romanesca vi abbiamo fatto venire voglia di preparare?

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